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Area Politiche del Lavoro |
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00198 Roma
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Telefono
06-855631 - Fax 06-85352749
Internet : http: //www.inca.it
E-mail : politiche-lavoro@inca.it
Roma, lì 02/02/04
Prot. n° 14
Ai
Coordinatori Regionali INCA
Ai Direttori Compr.li INCA
Agli Uffici Inca all’Estero
Al
Dip. Politiche del Lavoro CGIL
LORO SEDI
NB. La presente circolare va
portata a conoscenza degli Uffici Immigrati Cgil operanti sul territorio.
Oggetto: Direttiva del Consiglio n. 2003/109/CE relativa allo
status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo.
Cari
Compagni,
la Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea n. L 16 del 23 gennaio 2004, reca
pubblicazione del testo della Direttiva
n. 2003/109/CE approvata dal Consiglio il 25 novembre 2003, relativa allo status
dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo. [1]
La direttiva si compone di due parti.
La prima, definisce i requisiti per l’acquisto dello status giuridico di “soggiornante di lungo periodo”, nello Stato
membro di residenza, e i relativi diritti connessi (capo I e II). La seconda,
precisa a quali condizioni, e con quali diritti, il titolare di detto status può esercitare il diritto di soggiorno
sul territorio di un altro Stato membro, per lavoro, studio o altri scopi (capo
III).
Conformemente agli articoli, rispettivamente, 27 e
26, la direttiva entra in vigore il giorno della sua pubblicazione (23.01.2004),
e dovrà essere recepita dagli
ordinamenti nazionali entro il 23
gennaio 2006 (termine limite).
Regno Unito, Irlanda e Danimarca non sono interessati alla sua applicazione in considerazione delle
rispettive posizioni in rapporto alle disposizioni del titolo IV del Trattato
di Amsterdam (punti 25 e 26 dei considerando riportati nel preambolo
della direttiva medesima).
Inoltre, entro il 23 gennaio 2011, vale a dire entro un massimo di 7 anni, la Commissione europea è tenuta
a presentare una relazione sull’applicazione della direttiva, corredata dalle
modifiche necessarie. L’esame riguarda,
prioritariamente, gli articoli 4, 5, 9 11 e il capo III della direttiva
(art. 24).
Già in base a queste prime annotazioni, si può cogliere
che il testo approvato in via definitiva dal Consiglio è sensibilmente diverso
dal testo originario presentato dalla Commissione europea il 13 marzo 2001 (COM
2001/127), il quale, come certamente si
ricorderà, aveva raccolto ampi consensi in sede di Parlamento europeo e di
Comitato economico e sociale europeo, nonché tra le stesse comunità di
immigrati e loro associazioni rappresentative. Detto questo, è anche vero che
il “momento” è molto particolare.
A parte il mutato clima internazionale, è un fatto
che l’adozione/attuazione di questa direttiva coincide con l’allargamento, dal
prossimo 1° maggio, dell’Unione europea a dieci nuovi Stai membri (da Cipro e Malta
a Polonia, Ungheria, Lituania, Lestonia, Lettonia, Rep. Ceca, Slovacchia,
Slovenia), conformemente al Trattato di adesione firmato ad Atene il 16 aprile
2003.
Al di là della rilevanza politica dell’evento, rimane
il dato che durante il periodo transitorio, la cui durata massima è fissata in
7 anni (regime 2+3+2), i cittadini degli
otto paesi di area PECO non avranno la possibilità di usufruire del principio
di libera circolazione dei lavoratori
ai sensi dell’articolo 39 del Trattato, posto che:
a)
quanto meno nel
corso del primo biennio, il loro ingresso nel mercato del lavoro di uno Stato
membro attuale continua ad essere regolato in base alle norme interne di
ciascuno Stato (salvo accordi bilaterali e/o regime preferenziale);
b)
quand’anche legalmente
stabiliti sul territorio di uno Stato membro alla data del 1.05.2004, la loro
possibilità di spostarsi in un altro Stato membro, per lavoro “subordinato”, è resa
nulla, o quasi, essendo, l’esercizio di tale diritto, possibile unicamente tra
Stati membri attuali che non applicano “misure nazionali” (in altri
termini, tra Stati che rinunciano ad avvalersi delle deroghe previste durante
il periodo transitorio).
Questa potrebbe essere, pertanto, la chiave di lettura
per comprendere il senso del rinvio, al
2011, per quella che è, nella sostanza, una “clausola di revisione a
tempo” (risultando evidente la necessità
di evitare contrasti troppo marcati tra le due categorie di soggetti). Ciò
detto, una cosa non giustifica, necessariamente, l’altra, e il testo licenziato
dal Consiglio denota livelli di chiusura che vanno ben oltre questa soglia di
attenzione e di preoccupazione.
Per comprendere la portata (limitativa) del testo
adottato dal Consiglio, è necessario partire dal nucleo di diritti che la
proposta originaria della Commissione intendeva assegnare ai cittadini, dei
paesi terzi, stabilmente residenti nei territori dell’Unione.
Secondo questa proposta, nello spirito degli impegni
politici assunti nel vertice di Tampere del 15-16 ottobre 1999, gli Stati
membri dovevano riconoscere lo status di
“residente di lungo periodo” ai cittadini di paesi terzi che soggiornano
legalmente e ininterrottamente da almeno cinque anni nel loro territorio (in
presenza di un minimo di requisiti di stabilità di reddito e di copertura
sanitaria).
Nelle sue
componenti essenziali, questo status giuridico
implicava tre aspetti fondamentali:
1)
un diritto di
soggiorno (dimora), nello Stato membro di residenza, sostanzialmente
indipendente dall’attualità della condizione lavorativa e la parità di
trattamento in una vasta gamma di settori, tra cui, l’accesso a qualunque
attività dipendente (incluso l’impiego pubblico) e autonoma;
2)
la possibilità
di esercitare il diritto di soggiorno, sul territorio di un altro Stato membro,
per periodi superiori a tre mesi, anche a fini di lavoro, in condizioni
comparabili a quelle previste per i cittadini dell’Unione (e con le medesime
garanzie dal punto di vista della parità di trattamento);
3)
una tutela, per
quanto riguarda la riserva di ordine pubblico e pubblica sicurezza,
sostanzialmente mutuata dai principi del diritto comunitario, in base al quale
le suddette nozioni implicano una valutazione del comportamento personale in
rapporto alla “attualità” della minaccia, con la conseguenza di superare ogni
effetto di automatismo decisionale, rispetto all’esistenza di condanne penali. Così,
anche l’eventuale espulsione dal territorio era subordinata, nei suoi effetti,
all’applicazione dei principi fissati nel proponendo articolo 13, paragrafi 1 (“minaccia attuale e sufficientemente grave … che leda uno degli interessi
fondamentali della collettività”) e 2 (“il
comportamento personale non è considerato una minaccia sufficiente grave se lo
Stato membro non adotta severe misure repressive nei confronti dei cittadini
nazionali che commettono lo stesso tipo di illecito”).
Ciò è talmente vero che, una volta verificata
l’esistenza dei presupposti per l’acquisto dello status di “soggiornante di
lungo periodo” nello Stato membro di residenza abituale (durata del soggiorno,
stabilità di risorse e copertura sanitaria), le cause di perdita (o di revoca)
dello status medesimo erano limitatissime (acquisto fraudolento del titolo,
assenza dal territorio per più di due anni, espulsione dal territorio, acquisto
di analogo status nel nuovo Stato membro di residenza) e, per quanto riguarda
l’esercizio del diritto di soggiorno, per lavoro, subordinato o autonomo, sul
territorio di un secondo Stato membro non vi era più luogo di giustificare
l’esistenza di risorse stabili e sufficienti (e di copertura sanitaria),
essendo, a questo riguardo, sufficiente il contratto di lavoro, alla stregua
dei criteri previsti dalla Direttiva n. 360/68, relativa allo status dei
cittadini dell’Unione che esercitano il diritto di libera circolazione in
qualità di lavoratori ai sensi dell’articolo 39 Trattato (e Direttiva n. 148/73
in relazione alla libertà di stabilimento ai sensi dell’articolo 43 Trattato).
Del pari, circa i vantaggi connessi all’acquisto
dello status di “soggiornante di
lungo periodo”, nei riguardi dello Stato
membro di residenza (nonché nello Stato in cui viene esercitato il diritto di
soggiorno), dovendo ricordare, tra i punti qualificanti della proposta, il
diritto di accesso al lavoro nel pubblico impiego (definito secondo i principi
affermati dalla Corte di Giustizia per i cittadini dell’Unione) e il diritto ai
vantaggi sociali e fiscali (sostanzialmente mutuato dall’articolo 7 del
regolamento n. 1612/68).
2.- PRESENTAZIONE SUCCINTA DEL TESTO DI
DIRETTIVA ADOTTATO DAL CONSIGLIO.
Il testo di direttiva adottato dal Consiglio il 25
novembre, appare in “regresso” su molti punti, come si ricava da un confronto
puntuale dei due testi riportato nel nostro allegato 2. Pertanto, per attenerci
all’essenziale, ci limiteremo a rilevare i seguenti aspetti.
Capo
I e della direttiva: disposizioni generali e status di soggiornante di lungo
periodo in uno Stato membro
-
Scopi (art.
1):
-
la formulazione
presa sul punto, attenua i caratteri del diritto medesimo (decisamente più
marcati e ricchi di significato nel testo presentato dalla Commissione);
-
Definizioni
(art. 2):
-
merita
sottolineare la definizione di “familiari”
(art. 2, lettera e), la quale definisce tali “i cittadini dei paesi
terzi che soggiornano nello Stato membro interessato ai sensi della direttiva
n. 2003/86/CE”;
-
Campo di
applicazione personale (art. 3):
-
i “rifugiati”, riconosciuti
tali, non rientrano più tra le persone destinatarie del dispositivo;
-
per le rimanenti
categorie, si ricorda che la direttiva riguarda, in generale, tutti i cittadini
legalmente soggiornanti sul territorio di uno Stato membro (“residenti” secondo
la versione linguistica francese e inglese), con esclusione di alcune persone a
causa della precarietà della loro situazione (es.: richiedenti asilo o
aspiranti ad una protezione temporanea) o della brevità del loro soggiorno (es.:
lavoratori stagionali, lavoratori distaccati) nonché i residenti a scopo di
studio o di formazione professionale;
-
Durata del
soggiorno (art. 4):
-
la
durata richiesta rimane la stessa (almeno
5 anni di soggiorno legale e ininterrotto), ma vengono meno alcune garanzie
in ordine ai periodi di assenza che non interrompono detto termine. In
principio, sono ritenuti tali soltanto le assenze inferiori a 6 mesi
consecutivi (entro un massimo di 10 mesi nel corso del quinquennio);
-
gli Stati membri
conservano la facoltà di applicare criteri più ampi (ragioni specifiche e/o
eccezionali). Ciò tuttavia, lo specifico richiamo ad assenze motivate dall’assolvimento degli obblighi di leva
(grave malattia, gravidanza-maternità, studio e ricerca) non è stato ripreso;
-
come nella
proposta originaria, il soggiorno per motivi di studio è computabile soltanto
per la metà della sua durata (ciò riguarda, evidentemente, gli eventuali
periodi di studio effettuati nello Stato membro prima di acquisire lo status di “lavoratore” o di “familiare”
di un lavoratore, cittadino di paese terzo) ;
-
Condizioni
per acquisire lo status di soggiornante di lungo periodo (art. 5):
-
le condizioni
essenziali sono due: stabilità di
reddito, per sé e per i familiari a carico (ai fini della quale gli Stati membri possono tenere conto anche
di fattori quali i contributi al regime pensionistico e l’adempimento degli
obblighi fiscali - 7° considerando)
e copertura sanitaria;
-
la misura di favor (esenzione dal requisito) inizialmente prevista per i cittadini
dei paesi terzi nati sul posto, è stata abbandonata;
-
gli Stati membri
potranno, di contro, esigere che il cittadino soddisfi i cd. “criteri di integrazione”, previsti dalla legislazione nazionale
(nuovo) e, parimenti, circa la prova in
ordine alla disponibilità di un “alloggio
adeguato” (richiamata nell’ art. 7);
-
Ordine
pubblico e sicurezza interna (art.
6):
-
a questa nozione
viene riconosciuto un effetto più ampio di quello attribuito nel testo della
Commissione, essendo venuto meno il riferimento ai pertinenti principi di
diritto comunitario (“attualità” della minaccia; irrilevanza dell’esistenza di
condanne penali quale unico motivo
fondante la decisione di diniego dello status
di soggiornante di lungo periodo). Ciò detto, l’8° considerando invita a
considerare la gravità dei reati commessi (“nella
nozione di ordine pubblico può rientrare una condanna per aver commesso un
reato grave”);
-
Procedure e
rilascio del titolo (artt. 7 e 8):
-
gli Stati membri
assumono la loro decisione entro 6 mesi dalla domanda. Se, del caso, entro un
termine più ampio (ma senza riferimento gli effetti sospensivi che la
Commissione aveva inserito, a tutela del richiedente, in caso di documentazione
incompleta);
-
lo status di “soggiornante di lungo periodo”
è permanente, con riserva delle previsioni di cui al successivo articolo 9;
-
i relativi
titoli sono personali e hanno validità almeno quinquennale. Inoltre, devono
chiaramente indicare la qualità di “soggiornante di lungo periodo-CE”;
-
Revoca o
perdita dello status (art. 9):
-
secondo la
Commissione ciò poteva aver luogo in pochi casi. In particolare, in caso di
acquisto fraudolento del titolo o di assenza dal territorio superiore a 2 anni.
Nel testo adottato dal Consiglio tale ultimo periodo è stato ridotto a 1 anno;
-
in caso di
esercizio del diritto di soggiorno in un altro Stato membro valgono criteri
particolari. In questo caso lo status si perde con l’acquisto dell’identico
status nel secondo Stato membro; in subordine, dopo sei anni di assenza dal
territorio (con possibilità di procedura abbreviata per il riacquisto del
titolo);
-
lo status di “soggiornante di lungo periodo”
può, inoltre, essere revocato se la persona costituisce una minaccia per
l’ordine pubblico, in considerazione della gravità dei reati commessi (nuovo,
rispetto al testo della Commissione, per la quale ciò poteva avvenire soltanto
in presenza di una decisione di allontanamento a norma dell’articolo 12);
-
in questo caso,
se non è oggetto di allontanamento ai sensi dell’art. 12, l’interessato è
autorizzato al soggiorno, in presenza delle condizioni prescritte dal diritto
interno;
-
Garanzie
procedurali (art. 10):
-
rimane il
principio secondo cui ogni provvedimento di rifiuto o revoca è debitamente
motivato e suscettibile di ricorso;
-
risulta
soppressa, di contro, la possibilità di ripresentare una domanda, in funzione
dell’evoluzione della situazione personale dell’interessato;
-
Parità di
trattamento (art. 11):
-
l’articolo
riprende i punti presentati nel testo della Commissione, ma li assortisce di
tali e tante deroghe, da ridurne significativamente portata giuridica e senso
politico. Ricordiamo che gli ambiti toccati dalla direttiva sono: a)- il lavoro
(condizioni di assunzione e lavoro, ivi comprese quelle di licenziamento e di
retribuzione); b)- l'istruzione e la
formazione professionale (compresi gli assegni scolastici e le borse di
studio); c)- il riconoscimento di
diplomi, certificati e altri titoli professionali; d)- le prestazioni sociali, l'assistenza sociale e la protezione sociale;
e)- le agevolazioni fiscali; f)- l'accesso
a beni e servizi a disposizione del pubblico (incluso l’alloggio); g)- la libertà
d'associazione, adesione e partecipazione a organizzazioni di lavoratori o
datori di lavoro o a qualunque organizzazione professionale di categoria (e
vantaggi connessi); h)- il libero accesso
a tutto il territorio dello Stato membro interessato. Nello specifico:
-
parità nel lavoro (condizioni di assunzione e lavoro, ivi comprese quelle di
licenziamento e di retribuzione): rimane fermo il principio del diritto al
medesimo trattamento consentito ai cittadini nazionali (esercizio di un'attività lavorativa
subordinata o autonoma, purché non implicante nemmeno in via occasionale la
partecipazione all'esercizio di pubblici poteri), ma gli Stati membri (nuovo
paragrafo 3, lettera a), potranno fissare limitazioni
nei casi in cui la legislazione nazionale o la normativa comunitaria in
vigore riservino dette attività ai
cittadini dello Stato in questione, dell’UE o del SEE;
-
parità nell’istruzione: anche in questo caso, il principio paritario
affermato nell’art. 11-1, lettera b), è temperato dal disposto del nuovo
paragrafo 3, lettera b), in base al quale gli Stati possono esigere una prova del possesso delle adeguate conoscenze linguistiche per
l’accesso all’istruzione e alla formazione ed, inoltre, l’accesso
all’Università può essere subordinata all’adempimento di specifiche condizioni
riguardanti la formazione scolastica. Con riguardo a questo settore mette,
d’altro canto, conto rilevare quanto precisato nel 14° e 15° considerando (14.- Gli Stati membri dovrebbero restare
sottoposti all’obbligo di concedere ai figli minori l’accesso al sistema
educativo a condizioni analoghe a quelle previste per i propri cittadini; 15.-
La nozione di assegni scolastici e borse di studio nel campo della formazione
professionale non comprende le misure finanziate nell’ambito dei regimi di
assistenza sociale. L’accesso agli assegni scolastici e alle borse di studio
può dipendere inoltre dal fatto che la persona la quale presenta domanda di
detti assegni soddisfa alle condizioni per l’acquisizione dello status di
soggiornante di lungo periodo. Per quanto riguarda la concessione delle borse
di studio, gli Stati membri possono tener conto del fatto che i cittadini
dell’Unione possono beneficiare di tali prestazioni nel paese d’origine);
-
parità nell’accesso alla protezione e assistenza
sociale. In base al nuovo paragrafo
4, gli Stati membri possono limitare la parità di trattamento “alle prestazioni
essenziali”. In base al 13° considerando, questo concetto è
esplicitato nel modo seguente: “con
riferimento all’assistenza sociale,
la possibilità di limitare le prestazioni per soggiornanti di lungo periodo a
quelle essenziali deve intendersi nel senso che queste ultime comprendono almeno un sostegno di reddito minimo,
l’assistenza in caso di malattia, di gravidanza, l’assistenza parentale e
l’assistenza a lungo termine. Le modalità di concessione di queste prestazioni
dovrebbero essere determinate dalla legislazione nazionale”;
-
libertà di associazione. Il testo definitivo introduce la riserva di ordine
pubblico e pubblica sicurezza;
-
accesso a tutto il territorio. Anche, qui, viene aggiunto “nei limiti che la
legislazione nazionale prevede per ragioni di sicurezza”;
-
più in generale,
gli Stati possono subordinare l’accesso ai benefici di cui al § 1, lettere b),
d), e), f) e g) alla residenza effettiva, sul suo territorio, del titolare
dello status, nonché dei familiari
aventi diritto (nuovo paragrafo 2);
-
Tutela
contro l’allontanamento (art. 12):
-
in base al testo
definitivo, lo straniero, titolare dello status
di “soggiornante di lungo periodo”, può essere allontanato quando costituisce
una minaccia effettiva e sufficientemente grave per l’ordine pubblico o la
pubblica sicurezza (omessa la parte “che leda uno degli interessi fondamentali
della collettività”, presente nel testo della Commissione);
-
lo stesso vale
per i principi di diritto comunitario riflessi negli originari paragrafi 2 e 3),
nonché per il disposto del paragrafo 7, volto ad impedire l’espulsione, per direttissima,
di dette persone;
-
nell’assunzione
del loro provvedimento gli Stati membri dovranno, ad ogni modo, tenere conto di
una serie di elementi (durata del soggiorno, età, conseguenze per l’interessato
e i familiari, vincoli con il paese di soggiorno o assenza di vincoli col paese
d’origine), fermo restando il diritto di presentare ricorso giurisdizionale (su
questo punto vedi anche, nel testo del 16°
considerando, il rinvio alla giurisprudenza della Corte dei
diritti dell’Uomo, circa l’effettività del ricorso stesso);
-
Disposizioni
nazionali più favorevoli (art.13):
-
la direttiva non
osta al rilascio di titoli sulla base di disposizioni più favorevoli;
-
tuttavia, gli
anzidetti titoli non garantiscono, in questo caso, l’accesso ai benefici
previsti dal capo III della direttiva (vale a dire, il diritto di mobilità in
un altro Stato membro).
Capo
III della direttiva: soggiorno negli altri Stati membri
Questo capo della direttiva attiene al diritto dei
cittadini, riconosciuti “soggiornanti di lungo periodo”, di soggiornare negli
altri Stati membri.
Nella relazione di accompagnamento della proposta COM
2001/127, la Commissione europea riteneva tale evenienza indispensabile
premessa ad una “piena e completa integrazione”, anche perché, senza
dimenticare il dettato dell’articolo 45 della Carta dei diritti fondamentali,
“sarebbe inconcepibile uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia - obiettivo
fondamentale dell'Unione - senza una certa mobilità dei cittadini stranieri
che vi soggiornano regolarmente e soprattutto da molto tempo”.
Nell’ambito del trattato Schengen, tali cittadini
possono circolare e soggiornare nel territorio degli Stati membri per un
periodo massimo di tre mesi, ma ciò non costituisce un diritto di
soggiorno per studio o lavoro (per lo meno, non nel senso attribuito dal diritto comunitario ai cittadini dell’Unione).
Conseguentemente, specie per quanto riguarda il
lavoro, dal punto di vista del (nuovo) Stato di accoglienza, la loro condizione
giuridica è esattamente identica a quella dello straniero che, per la prima
volta, si presenta sul mercato del lavoro di uno Stato dell’Unione.
Come già abbiamo detto, per rimuovere questa
situazione, tenuto ugualmente conto dell’importanza, anche numerica, degli
stranieri nativi dell’Unione europea (i figli dei migranti nati sul
territorio di uno Stato membro), la Commissione si proponeva di assicurare, ai
cittadini riconosciuti titolari del suddetto status, una serie di diritti comparabili a quelli dei
cittadini europei (migranti comunitari) in tema di mobilità transnazionale (tra
Stati membri dell’Unione).
Ciò che il Consiglio ci restituisce (vedi, in
particolare, gli articoli 14 e 15 della direttiva approvata) è un diritto fortemente amputato, dato il ricorso,
anche in questo caso, ad ampi spazi di deroga dal dispositivo generale. In
particolare:
-
Principio
(art. 14):
-
i “soggiornanti
di lungo periodo” acquisiscono il diritto di soggiornare, per un periodo
superiore a tre mesi, nel territorio di qualsiasi Stato membro diverso da quello che gli ha conferito
lo status di soggiornante di lungo periodo, per: a) esercizio di un’attività economica in qualità di lavoratore autonomo o
dipendente; b) frequentazione di
corsi di studio o di formazione professionale; c) altri scopi. Ciò tuttavia (modifica apportata dal Consiglio):
-
per quanto
riguarda le attività economiche di cui alla lettera a), gli Stati membri possono esaminare la situazione del loro
mercato del lavoro e applicare le procedure nazionali relative
rispettivamente alla copertura di un posto vacante o all’esercizio di dette
attività;
-
per ragioni di
politica del mercato del lavoro, gli Stati membri possono dare la preferenza ai cittadini dell’Unione
europea, ai cittadini di paesi terzi, quando previsto dalla legislazione
comunitaria, nonché ai cittadini di paesi terzi che risiedono legalmente nello
Stato membro interessato e vi ricevono sussidi di disoccupazione;
-
gli Stati membri
possono, infine, limitare il numero
totale di persone ammessi a rivendicare il diritto di soggiorno (l’ipotesi
riguarda gli Stati che applicano un regime di quote per l’ingresso per lavoro
dei cittadini di paesi terzi);
-
gli aspetti di
sicurezza sociale sono, in questo caso, regolati secondo i criteri del
regolamento n. 1408/71 (conformemente al regolamento n. 859/03);
-
Condizioni
prescritte per il soggiorno (art. 15):
-
la domanda di
permesso di soggiorno va presentata entro tre mesi dall’ingresso (al più tardi),
corredata dei documenti utili a comprovare la situazione del soggetto, in
rapporto alle fattispecie previste dall’articolo 14-1, lettere a), b) e c);
-
diversamente
dalla proposta della Commissione, gli Stati possono esigere la prova di risorse stabili e regolari (e di copertura sanitaria) anche quando si tratti di mobilità per attività di lavoro dipendente o autonomo;
-
vengono meno le
tutele specialmente previste in determinati casi di interruzione dell’attività
(es., incapacità temporanea per malattia e infortunio, disoccupazione
involontaria, iscrizione a corsi di formazione);
-
Inoltre (nuovo
paragrafo 3), gli Stati membri possono
richiedere agli interessati di soddisfare le misure di integrazione
eventualmente previste dalla legislazione nazionale, salvo che a ciò siano
stati sottoposti nel corso delle procedure esperite davanti il primo Stato
membro. In questo caso detti cittadini possono, però, essere invitati a seguire
corsi di lingua;
-
Familiari
(art. 16):
-
in quanto membri
della famiglia nucleare (coniuge e figli minori) del soggiornante di lungo
periodo che esercita il diritto di soggiorno nel secondo Stato membro, se la
famiglia era già unita nel primo Stato membro, hanno il diritto di
accompagnare, o raggiungere, la persona in questione;
-
se invece si
tratta di familiari diversi (ascendenti, figli maggiorenni), la valutazione è
lasciata allo Stato membro in questione, fermo restando che, conformemente al 20° considerando, “gli Stati membri
dovrebbero prestare particolare attenzione alla situazione dei figli adulti con
disabilità e ai parenti di primo grado in linea ascendente che dipendono da
loro”;
-
la richiesta di
un titolo di soggiorno, nel secondo Stato membro, è presentata entro tre mesi
dall’ingresso (rinvio all’art. 15-1). In tale occasione il secondo Stato può
verificare una serie di condizioni (prova della residenza, nel primo Stato
membro in qualità di “familiari”; prova circa le risorse e la copertura
sanitaria);
-
se la famiglia
non era già unita nel primo Stato membro, si applicano direttamente le
disposizioni di cui alla Direttiva n. 2003/86 (relativa ai ricongiungimenti
familiari);
-
Ordine
pubblico e pubblica sicurezza (art. 17):
-
gli Stati membri
possono negare il soggiorno qualora l’interessato (o il suo familiare)
costituisca una minaccia per l’ordine pubblico o la pubblica sicurezza. In
questo caso si tiene conto della gravità e/o tipo di reato commesso, ovvero del
pericolo costituito da detta persona;
-
le maggiori
garanzie incluse nel testo della Commissione sono state ignorate. Tuttavia, dalla
seconda frase del 21° considerando,
si ricava il rinvio, questa volta esplicito, alla nozione di “minaccia attuale”;
-
Sanità
pubblica (art. 18):
-
la domanda di
soggiorno può essere respinta, in capo al richiedente (o al suo familiare) per
motivi di sanità pubblica, nei limiti dei parametri OMS. Gli Stati possono,
all’uopo, prescrivere visite mediche, ma non con carattere sistematico;
-
le persone
ammesse al soggiorno sono al riparo da provvedimenti di non rinnovo e/o
allontanamento per malattie sopraggiunte dopo il rilascio del primo titolo di
soggiorno;
-
Esame della
domanda e rilascio del titolo di soggiorno e garanzie procedurali (art. 19 e 20):
-
Gli Stati
dispongono, in generale, di quattro mesi per pronunciarsi sulla richiesta di
rilascio del titolo di soggiorno (tre, secondo la Commissione), termine
eventualmente prorogabile per ulteriori tre mesi);
-
se ricorrono i
presupposti, dette autorità rilasciano all’interessato un permesso di soggiorno
conformemente alla legislazione di diritto interno, rinnovabile, alla scadenza,
dietro domanda;
-
i familiari sono
anch’essi muniti di un permesso di soggiorno di durata eguale a quella
consentita all’interessato;
-
le decisioni,
anche di diniego, sono motivate e suscettibili di ricorso;
-
Trattamento
nel secondo Stato membro (art. 21):
-
all’interessato,
è riconosciuto “lo stesso trattamento
nei settori e alle condizioni di cui all’articolo 11”. Ciò tuttavia, nel
caso dei lavoratori subordinati, può essere limitato, per un anno, l’accesso in impieghi diversi da quelli per i quali è stato rilasciato il titolo di
soggiorno;
-
circa gli
studenti e le altre persone, gli Stati sono liberi di definire le condizioni di
accesso ad una attività lavorativa, subordinata o autonoma;
-
con riguardo al
rinvio all’articolo 11, mette conto sottolineare che, ai sensi del 22° considerando, “…la concessione di
benefici nell’ambito dell’assistenza sociale non pregiudica la possibilità
degli Stati membri di revocare il titolo di soggiorno se la persona interessata
non soddisfa più i requisiti della presente direttiva);
-
ai familiari ai
quali è stato rilasciato un permesso ai sensi del precedente articolo 19, sono
riconosciuti i diritti previsti dall’articolo 14 della direttiva n. 2003/86,
relativa al diritto di ricongiungimento familiare (in principio: istruzione,
lavoro, orientamento e formazione professionale);
-
Revoca del
titolo di soggiorno e obbligo di riammissione (art. 22):
-
in base all’articolo
25 del testo presentato dalla Commissione, il residente di lungo periodo che
esercita il diritto di soggiorno (il quale non accede immediatamente a tale
status nel secondo Stato membro) poteva essere allontanato o privato del titolo
di soggiorno, per un periodo transitorio di cinque anni, per le seguenti
ragioni tassative: a)- se rappresenta una minaccia per l'ordine pubblico e la
sicurezza interna (nel senso inteso dalla direttiva 64/221/CEE del 25 febbraio
1964); b)- se cessa di soddisfare i requisiti per l'esercizio del diritto di
soggiorno, perché non esercita più un'attività economica o non dispone più di
un reddito sufficiente o di un'assicurazione contro le malattie e rischia di
diventare un onere per il secondo Stato membro. In secondo luogo, il
provvedimento di allontanamento non poteva avere durata illimitata, sicché il
residente di lungo periodo poteva conservare il diritto di ritornare nel
secondo Stato membro e di presentare una nuova domanda per l'esercizio del
diritto di soggiorno;
-
nel testo
adottato dal Consiglio, cade il riferimento al periodo transitorio, e le misure
di diniego, non rinnovo o revoca del permesso, nonché di allontanamento, si
fondano, per quanto riguarda l’ordine pubblico o la pubblica sicurezza,
sull’articolo 17;
-
in caso di allontanamento,
il primo Stato membro riammette immediatamente l’interessato (e per i suoi
familiari);
-
tale evenienza
non pregiudica la possibilità, per il soggiornante di lungo periodo (e per i suoi
familiari), di spostarsi in un terzo Stato membro;
-
l’articolo
definisce, inoltre, le disposizioni applicabili qualora il secondo Stato membro
intenda assumere un provvedimento di allontanamento dal territorio dell’Unione
europea (fermo restando, in questo caso, il rispetto delle garanzie previste
all’articolo 12 della direttiva);
-
Acquisizione
dello status di soggiornante di lungo periodo nel secondo Stato membro (art. 23):
-
questo status, nel secondo Stato membro, può
essere acquisito dopo cinque anni di residenza legale, sussistendo le
condizioni previste dagli articoli 3, 4, 5 e 6;
-
il dispositivo
comporta l’applicazione analogica degli articoli 7, 8 e 10 per quanto riguarda
gli aspetti procedurali e di garanzia.
3.- RELAZIONI CON ALTRE DISPOSIZIONI DI
DIRITTO COMUNITARIO
Conformemente all’articolo 3, paragrafo 3, la
direttiva 2003/109 non pregiudica le
disposizioni più favorevoli di accordi comunitari o misti conclusi con Stati
terzi e già entrati in vigore, che disciplinano la situazione giuridica dei
cittadini dei paesi terzi interessati. Per esempio, la condizione giuridica dei
cittadini destinatari dell’accordo SEE e dei cittadini svizzeri (accordo
UE-Svizzera sulla libera circolazione delle persone) è disciplinata in virtù di
tali accordi (e non in virtù della presente direttiva). Tale gruppo di accordi
può riguardare anche altre aree (segnatamente: Algeria, Marocco, Tunisia,
Turchia e paesi PECO) nella misura in cui questi accordi, contengono
disposizioni in materia di diritti dei cittadini di paesi terzi, anche se non
disciplinano direttamente la questione dell'accesso allo status di residente di
lungo periodo. Pertanto, i diritti previsti da tali accordi non sono modificati
dalla presente direttiva (se più favorevoli per i lavoratori e loro familiari conviventi).
Lo stesso vale per eventuali accordi bilaterali
(Stati UE/Stati terzi) conclusi prima del 23.01.2004, nonché rispetto
alle disposizioni più favorevoli di tre
strumenti internazionali creati nel quadro del Consiglio d'Europa, che si
applicano ai lavoratori migranti che sono cittadini dei paesi membri del
Consiglio d'Europa. Si tratta della Carta sociale europea (1961), della Carta
sociale europea modificata (1987) e della Convenzione relativa allo statuto
giuridico del lavoratore migrante (1977).
4.- QUESTIONI INTERPRETATIVE
Come (quasi) sempre succede nel caso di testi
approvati con forza di direttiva, il testo si compone di alcune parti non
derogabili, e di altre, sulle quali il legislatore conserva una certa
discrezionalità. Di per sé, la citata direttiva n. 2003/109 non osta
all’applicazione di criteri più favorevoli, fermo restando, in questo caso, la non validità del titolo medesimo ad
esercitare il diritto di soggiorno sul territorio di altri Stati membri ai
sensi dell’articolo 14.
In secondo luogo, nonostante sia ancora presto per
soffermarsi in osservazioni critiche, sussistono, comunque, alcuni punti
interrogativi.
In primo luogo, atteso che lo status di soggiornante
di lungo periodo è, in base alla direttiva 2003/109, un titolo “personale”, è
lecito chiedersi se un familiare possa autonomamente assurgere ad uguale titolo
non sulla base di risorse e proprie, ma in base alle risorse del titolare dello
status medesimo (coniuge o genitore che sia).
In secondo luogo, specie con riguardo ai figli, vi
sarebbe la chiarire la portata del rinvio (a norma del suo articolo 2, lettera
e), alla direttiva n. 2003/86, specie nel caso in cui questi raggiungono l’età
adulta (18 anni, nella maggior parte dei casi) e diventano titolari di un
permesso di soggiorno autonomo (art. 15, § 1, della citata direttiva
2003/86).
In terzo luogo, la direttiva n. 2003/109 non contiene
disposizioni specifiche in caso di decesso del titolare dello status di
soggiornante di lungo periodo, sicché, pur potendosi, anche in questo caso,
fare riferimento alla direttiva n. 2003/86 (articolo 15, § 3) non è del tutto
chiaro se, ed in quale misura, i familiari superstiti possono continuare ad
usufruire dei diritti previsti dall’articolo 11 della direttiva 2003/109 (in
subordine, a quali condizioni potrebbero, essi stessi, pretendere allo status
di soggiornante di lungo periodo).
Con riferimento al dispositivo titolo III (esercizio
del diritto di soggiorno in un secondo Stato membro da parte del titolare dello
status di soggiornante di lungo periodo), vi sarebbe da considerare se i
suddetti familiari possono conservare la residenza nel primo Stato membro (e
con quali diritti).
5.-
TRASPOSIZIONE NELL’ORDINAMENTO ITALIANO
Come precisato all’inizio, gli Stati membri hanno
l’obbligo di recepire la direttiva, al più tardi, entro il 23 gennaio 2006.
Le disposizioni del capo II comportano, di
conseguenza, una rivisitazione delle norme sulla “Carta di soggiorno”, titolo
che, per le sue caratteristiche, marca la differenza tra residente “temporaneo”
e residente “permanente” (mentre quelle di cui al capo III costituiscono una
novità, in assoluto, per tutti gli Stati membri dell’Unione).
Come prime osservazioni sul punto, evidenziamo subito
una serie di aspetti relativi ai paragrafi 1, 3 e 5 dell’articolo 9 del Tu n.
286/98 (come modificato dalla legge Bossi-Fini), che la direttiva 2003/109/CE è
suscettibile di far modificare (in meglio):
1.
Lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato da almeno sei anni, titolare di un permesso di
soggiorno per un motivo che consente un numero indeterminato di rinnovi, il
quale dimostri di avere un reddito sufficiente per il sostentamento proprio e
dei familiari, può richiedere al questore il rilascio della carta di soggiorno
per sé, per il coniuge e per i figli minori conviventi. La carta di soggiorno
è a tempo indeterminato. |
Il
periodo richiesto dall’articolo 4 della direttiva è di cinque anni (da
verificare, per gli studenti, le specifiche modalità di computo del periodo) Da
adeguare in rapporto alla prescrizione dell’articolo 9 della direttiva (a cui rinvia l’articolo
8) |
3.
La carta di soggiorno e' rilasciata sempre che nei confronti dello straniero non sia stato disposto il giudizio per
taluno dei delitti di cui all'articolo 380 nonché, limitatamente ai delitti
non colposi, all'articolo 381 del codice di procedura penale o pronunciata
sentenza di condanna, anche non definitiva, salvo che abbia ottenuto la
riabilitazione. Successivamente al rilascio della carta di soggiorno il
questore dispone la revoca, se e'
stata emessa sentenza di condanna, anche non definitiva, per reati di cui al
presente comma. Qualora non debba essere disposta l'espulsione e
ricorrano i requisiti previsti dalla legge, e' rilasciato permesso di
soggiorno. Contro il rifiuto del rilascio della carta di soggiorno e contro
la revoca della stessa e' ammesso ricorso al tribunale amministrativo
regionale competente. |
Vanno
tenuti presenti i criteri fissati dall’art. 6-1 della direttiva (gli Stati
membri tengono conto della gravità o del tipo di reato contro l’ordine
pubblico o la sicurezza pubblica o del pericolo rappresentato dalla persona
in questione, prendendo altresì nella dovuta considerazione la durata del
soggiorno e l’esistenza di legami con il paese di soggiorno). Come
sopra, in relazione al disposto dell’articolo 9-3 della direttiva |
5.
Nei confronti del titolare della carta di soggiorno l'espulsione amministrativa può essere disposta solo per gravi motivi
di ordine pubblico o sicurezza nazionale, ovvero quando lo stesso
appartiene ad una delle categorie indicate dall'articolo 1 della legge 27
dicembre 1956, n. 1423, come sostituito dall'articolo 2 della legge 3 agosto
1988, n. 327, ovvero dall'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, come
sostituito dall'articolo 13 della legge 13 settembre 1982, n. 646, sempre che
sia applicata, anche in via cautelare, una delle misure di cui all'articolo
14 della legge 19 marzo 1990, n. 55. |
Secondo l’art. 12 della
direttiva, occorre che si tratti di una minaccia effettiva e sufficientemente
grave per l'ordine pubblico o la pubblica sicurezza. Inoltre, prima di emanare il provvedimento, si deve
considerare: |
6.- OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
Oltre quanto già si è rilevato, la vicenda di questa
direttiva chiama in campo un giudizio
anche sulle regole relative al processo decisionale. Infatti, nella misura in
cui questa materia sfugge alla procedura di co-decisione col Parlamento
europeo, il Consiglio, conserva ampia libertà di manovra. Pertanto, anche a
fronte di un testo ampiamente emendato, il Parlamento europeo non è oggetto di
nuova consultazione.
L’assunzione, nel testo di direttiva n. 2003/86,
relativa al diritto di ricongiunto familiare, di misure manifestamente
contrarie al diritto di unità familiare ai sensi dell’articolo 8 della
Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’Uomo, ha condotto lo
stesso parlamento ad attivare, il 16 dicembre 2003, la procedura di ricorso,
contro il Consiglio, davanti la Corte di Giustizia (ne diamo notizia con
circolare a parte).
Nel caso presente, la situazione non è esattamente la
stessa. I diritti fondamentali sono
“compressi”, ma non direttamente negati, e lo stesso testo prevede,
d’altra parte, la possibilità di una revisione a termine del dispositivo (al
più tardi entro un periodo di 7 anni dalla data di entrata in vigore). In ogni
caso, non si registrano, al momento, reazioni nel merito del testo di direttiva
In queste condizioni, è opportuno lavorare affinché,
nella fase di trasposizione del testo nell’ordinamento giuridico italiano, il
dispositivo sia valorizzato nei suoi punti più avanzati (in altri termini, cercando
di contenere al massimo l’ambito delle deroghe).
Fraterni saluti.
p.
il Collegio di Presidenza p.
il settore
Salvatore Casabona Gina
Turatto
Allegati:
-
testo di
direttiva n. 2003/109 (formato PDF)
-
tabella dei
testi a confronto (Commissione e Consiglio)
[1] Attenzione: nelle versioni linguistiche francese e inglese, il termine impiegato “residenti” (e non “soggiornanti”)