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Roma, lì 02/02/04

Prot. n° 14

 

 

Ai Coordinatori Regionali INCA

Ai Direttori Compr.li INCA

Agli Uffici Inca all’Estero

Al Dip. Politiche del Lavoro CGIL

 

LORO SEDI

 

 

 

NB. La presente circolare va portata a conoscenza degli Uffici Immigrati Cgil operanti sul territorio.

 

 

 

Oggetto: Direttiva del Consiglio n. 2003/109/CE relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo.

 

 

Cari Compagni,

 

la Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea n. L 16 del 23 gennaio 2004, reca pubblicazione del testo della Direttiva n. 2003/109/CE approvata dal Consiglio il 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo. [1]

 

La direttiva si compone di due parti.

 

La prima, definisce i requisiti per l’acquisto dello status giuridico di  “soggiornante di lungo periodo”, nello Stato membro di residenza, e i relativi diritti connessi (capo I e II). La seconda, precisa a quali condizioni, e con quali diritti, il titolare di detto status può esercitare il diritto di soggiorno sul territorio di un altro Stato membro, per lavoro, studio o altri scopi (capo III).

 

Conformemente agli articoli, rispettivamente, 27 e 26, la direttiva entra in vigore il giorno della sua pubblicazione (23.01.2004), e dovrà essere recepita dagli  ordinamenti nazionali entro il 23 gennaio 2006 (termine limite).

 

Regno Unito, Irlanda e Danimarca non sono interessati alla sua applicazione in considerazione delle rispettive posizioni in rapporto alle disposizioni del titolo IV del Trattato di Amsterdam (punti  25 e 26 dei considerando riportati nel preambolo della direttiva medesima).

 

Inoltre, entro il 23 gennaio 2011, vale a dire entro un massimo di 7 anni, la Commissione europea è tenuta a presentare una relazione sull’applicazione della direttiva, corredata dalle modifiche necessarie. L’esame riguarda, prioritariamente, gli articoli 4, 5, 9 11 e il capo III della direttiva (art. 24).  

 

Già in base a queste prime annotazioni, si può cogliere che il testo approvato in via definitiva dal Consiglio è sensibilmente diverso dal testo originario presentato dalla Commissione europea il 13 marzo 2001 (COM 2001/127),  il quale, come certamente si ricorderà, aveva raccolto ampi consensi in sede di Parlamento europeo e di Comitato economico e sociale europeo, nonché tra le stesse comunità di immigrati e loro associazioni rappresentative. Detto questo, è anche vero che il “momento” è molto particolare.

 

A parte il mutato clima internazionale, è un fatto che l’adozione/attuazione di questa direttiva coincide con l’allargamento, dal prossimo 1° maggio, dell’Unione europea a dieci nuovi Stai membri (da Cipro e Malta a Polonia, Ungheria, Lituania, Lestonia, Lettonia, Rep. Ceca, Slovacchia, Slovenia), conformemente al Trattato di adesione firmato ad Atene il 16 aprile 2003.

 

Al di là della rilevanza politica dell’evento, rimane il dato che durante il periodo transitorio, la cui durata massima è fissata in 7 anni (regime 2+3+2),  i cittadini degli otto paesi di area PECO non avranno la possibilità di usufruire del principio di libera circolazione dei lavoratori ai sensi dell’articolo 39 del Trattato, posto che:

a)       quanto meno nel corso del primo biennio, il loro ingresso nel mercato del lavoro di uno Stato membro attuale continua ad essere regolato in base alle norme interne di ciascuno Stato (salvo accordi bilaterali e/o regime preferenziale);

b)       quand’anche legalmente stabiliti sul territorio di uno Stato membro alla data del 1.05.2004, la loro possibilità di spostarsi in un altro Stato membro, per lavoro “subordinato”, è resa nulla, o quasi, essendo, l’esercizio di tale diritto, possibile unicamente tra Stati membri attuali che non applicano “misure nazionali” (in altri termini, tra Stati che rinunciano ad avvalersi delle deroghe previste durante il periodo transitorio).

 

Questa potrebbe essere, pertanto, la chiave di lettura per comprendere il senso del rinvio, al  2011, per quella che è, nella sostanza, una “clausola di revisione a tempo” (risultando evidente  la necessità di evitare contrasti troppo marcati tra le due categorie di soggetti). Ciò detto, una cosa non giustifica, necessariamente, l’altra, e il testo licenziato dal Consiglio denota livelli di chiusura che vanno ben oltre questa soglia di attenzione e di preoccupazione.

 

 

1.- LINEE DIRETTRICI DELLA PROPOSTA DI DIRETTIVA PRESENTATA DALLA COMMISSIONE

 

Per comprendere la portata (limitativa) del testo adottato dal Consiglio, è necessario partire dal nucleo di diritti che la proposta originaria della Commissione intendeva assegnare ai cittadini, dei paesi terzi, stabilmente residenti nei territori dell’Unione.

 

Secondo questa proposta, nello spirito degli impegni politici assunti nel vertice di Tampere del 15-16 ottobre 1999, gli Stati membri dovevano riconoscere lo status di “residente di lungo periodo” ai cittadini di paesi terzi che soggiornano legalmente e ininterrottamente da almeno cinque anni nel loro territorio (in presenza di un minimo di requisiti di stabilità di reddito e di copertura sanitaria).

 

 Nelle sue componenti essenziali, questo status giuridico implicava tre aspetti fondamentali:

 

1)       un diritto di soggiorno (dimora), nello Stato membro di residenza, sostanzialmente indipendente dall’attualità della condizione lavorativa e la parità di trattamento in una vasta gamma di settori, tra cui, l’accesso a qualunque attività dipendente (incluso l’impiego pubblico) e autonoma;

2)       la possibilità di esercitare il diritto di soggiorno, sul territorio di un altro Stato membro, per periodi superiori a tre mesi, anche a fini di lavoro, in condizioni comparabili a quelle previste per i cittadini dell’Unione (e con le medesime garanzie dal punto di vista della parità di trattamento);

3)       una tutela, per quanto riguarda la riserva di ordine pubblico e pubblica sicurezza, sostanzialmente mutuata dai principi del diritto comunitario, in base al quale le suddette nozioni implicano una valutazione del comportamento personale in rapporto alla “attualità” della minaccia, con la conseguenza di superare ogni effetto di automatismo decisionale, rispetto all’esistenza di condanne penali. Così, anche l’eventuale espulsione dal territorio era subordinata, nei suoi effetti, all’applicazione dei principi fissati nel proponendo articolo 13, paragrafi 1 (“minaccia attuale e sufficientemente grave … che leda uno degli interessi fondamentali della collettività”) e 2 (“il comportamento personale non è considerato una minaccia sufficiente grave se lo Stato membro non adotta severe misure repressive nei confronti dei cittadini nazionali che commettono lo stesso tipo di illecito”).

 

Ciò è talmente vero che, una volta verificata l’esistenza dei presupposti per l’acquisto dello status di “soggiornante di lungo periodo” nello Stato membro di residenza abituale (durata del soggiorno, stabilità di risorse e copertura sanitaria), le cause di perdita (o di revoca) dello status medesimo erano limitatissime (acquisto fraudolento del titolo, assenza dal territorio per più di due anni, espulsione dal territorio, acquisto di analogo status nel nuovo Stato membro di residenza) e, per quanto riguarda l’esercizio del diritto di soggiorno, per lavoro, subordinato o autonomo, sul territorio di un secondo Stato membro non vi era più luogo di giustificare l’esistenza di risorse stabili e sufficienti (e di copertura sanitaria), essendo, a questo riguardo, sufficiente il contratto di lavoro, alla stregua dei criteri previsti dalla Direttiva n. 360/68, relativa allo status dei cittadini dell’Unione che esercitano il diritto di libera circolazione in qualità di lavoratori ai sensi dell’articolo 39 Trattato (e Direttiva n. 148/73 in relazione alla libertà di stabilimento ai sensi dell’articolo 43 Trattato).

 

Del pari, circa i vantaggi connessi all’acquisto dello status di “soggiornante di lungo periodo”,  nei riguardi dello Stato membro di residenza (nonché nello Stato in cui viene esercitato il diritto di soggiorno), dovendo ricordare, tra i punti qualificanti della proposta, il diritto di accesso al lavoro nel pubblico impiego (definito secondo i principi affermati dalla Corte di Giustizia per i cittadini dell’Unione) e il diritto ai vantaggi sociali e fiscali (sostanzialmente mutuato dall’articolo 7 del regolamento n. 1612/68).     

 

 

2.- PRESENTAZIONE SUCCINTA DEL TESTO DI DIRETTIVA ADOTTATO DAL CONSIGLIO.

 

Il testo di direttiva adottato dal Consiglio il 25 novembre, appare in “regresso” su molti punti, come si ricava da un confronto puntuale dei due testi riportato nel nostro allegato 2. Pertanto, per attenerci all’essenziale, ci limiteremo a rilevare i seguenti aspetti.

 

Capo I e della direttiva: disposizioni generali e status di soggiornante di lungo periodo in uno Stato membro

 

-          Scopi (art. 1):

-          la formulazione presa sul punto, attenua i caratteri del diritto medesimo (decisamente più marcati e ricchi di significato nel testo presentato dalla Commissione);

-          Definizioni (art. 2):

-          merita sottolineare la definizione di “familiari”  (art. 2, lettera e), la quale definisce tali “i cittadini dei paesi terzi che soggiornano nello Stato membro interessato ai sensi della direttiva n. 2003/86/CE”; 

-          Campo di applicazione personale (art. 3):

-          i “rifugiati”, riconosciuti tali, non rientrano più tra le persone destinatarie del dispositivo;

-          per le rimanenti categorie, si ricorda che la direttiva riguarda, in generale, tutti i cittadini legalmente soggiornanti sul territorio di uno Stato membro (“residenti” secondo la versione linguistica francese e inglese), con esclusione di alcune persone a causa della precarietà della loro situazione (es.: richiedenti asilo o aspiranti ad una protezione temporanea) o della brevità del loro soggiorno (es.: lavoratori stagionali, lavoratori distaccati) nonché i residenti a scopo di studio o di formazione professionale;

-          Durata del soggiorno (art. 4):

-           la durata richiesta rimane la stessa (almeno 5 anni di soggiorno legale e ininterrotto), ma vengono meno alcune garanzie in ordine ai periodi di assenza che non interrompono detto termine. In principio, sono ritenuti tali soltanto le assenze inferiori a 6 mesi consecutivi (entro un massimo di 10 mesi nel corso del quinquennio);

-          gli Stati membri conservano la facoltà di applicare criteri più ampi (ragioni specifiche e/o eccezionali). Ciò tuttavia, lo specifico richiamo ad assenze motivate  dall’assolvimento degli obblighi di leva (grave malattia, gravidanza-maternità, studio e ricerca) non è stato ripreso;

-          come nella proposta originaria, il soggiorno per motivi di studio è computabile soltanto per la metà della sua durata (ciò riguarda, evidentemente, gli eventuali periodi di studio effettuati nello Stato membro prima di acquisire lo status di “lavoratore” o di “familiare” di un lavoratore, cittadino di paese terzo) ;

-          Condizioni per acquisire lo status di soggiornante di lungo periodo (art. 5):

-          le condizioni essenziali sono due: stabilità di reddito, per sé e per i familiari a carico (ai fini della quale gli Stati membri possono tenere conto anche di fattori quali i contributi al regime pensionistico e l’adempimento degli obblighi fiscali - 7° considerando) e copertura sanitaria;

-          la misura di favor (esenzione dal requisito) inizialmente prevista per i cittadini dei paesi terzi nati sul posto, è stata abbandonata;

-          gli Stati membri potranno, di contro, esigere che il cittadino soddisfi i cd. “criteri di integrazione”, previsti dalla legislazione nazionale (nuovo) e, parimenti,  circa la prova in ordine alla disponibilità di un “alloggio adeguato  (richiamata nell’ art. 7);

-          Ordine pubblico e sicurezza interna (art. 6):

-          a questa nozione viene riconosciuto un effetto più ampio di quello attribuito nel testo della Commissione, essendo venuto meno il riferimento ai pertinenti principi di diritto comunitario (“attualità” della minaccia; irrilevanza dell’esistenza di condanne penali quale unico motivo fondante la decisione di diniego dello status di soggiornante di lungo periodo). Ciò detto, l’8° considerando  invita a considerare la gravità dei reati commessi (“nella nozione di ordine pubblico può rientrare una condanna per aver commesso un reato grave”);

-          Procedure e rilascio del titolo (artt. 7 e 8):

-          gli Stati membri assumono la loro decisione entro 6 mesi dalla domanda. Se, del caso, entro un termine più ampio (ma senza riferimento gli effetti sospensivi che la Commissione aveva inserito, a tutela del richiedente, in caso di documentazione incompleta);

-          lo status di “soggiornante di lungo periodo” è permanente, con riserva delle previsioni di cui al successivo articolo 9;

-          i relativi titoli sono personali e hanno validità almeno quinquennale. Inoltre, devono chiaramente indicare la qualità di “soggiornante di lungo periodo-CE”;

-          Revoca o perdita dello status (art. 9):

-          secondo la Commissione ciò poteva aver luogo in pochi casi. In particolare, in caso di acquisto fraudolento del titolo o di assenza dal territorio superiore a 2 anni. Nel testo adottato dal Consiglio tale ultimo periodo è stato ridotto a 1 anno;

-          in caso di esercizio del diritto di soggiorno in un altro Stato membro valgono criteri particolari. In questo caso lo status si perde con l’acquisto dell’identico status nel secondo Stato membro; in subordine, dopo sei anni di assenza dal territorio (con possibilità di procedura abbreviata per il riacquisto del titolo);

-          lo status di “soggiornante di lungo periodo” può, inoltre, essere revocato se la persona costituisce una minaccia per l’ordine pubblico, in considerazione della gravità dei reati commessi (nuovo, rispetto al testo della Commissione, per la quale ciò poteva avvenire soltanto in presenza di una decisione di allontanamento a norma dell’articolo 12);

-          in questo caso, se non è oggetto di allontanamento ai sensi dell’art. 12, l’interessato è autorizzato al soggiorno, in presenza delle condizioni prescritte dal diritto interno;

-          Garanzie procedurali (art. 10):

-          rimane il principio secondo cui ogni provvedimento di rifiuto o revoca è debitamente motivato e suscettibile di ricorso;

-          risulta soppressa, di contro, la possibilità di ripresentare una domanda, in funzione dell’evoluzione della situazione personale dell’interessato;

-          Parità di trattamento (art. 11):

-          l’articolo riprende i punti presentati nel testo della Commissione, ma li assortisce di tali e tante deroghe, da ridurne significativamente portata giuridica e senso politico. Ricordiamo che gli ambiti toccati dalla direttiva sono: a)- il lavoro (condizioni di assunzione e lavoro, ivi comprese quelle di licenziamento e di retribuzione); b)- l'istruzione e la formazione professionale (compresi gli assegni scolastici e le borse di studio); c)- il riconoscimento di diplomi, certificati e altri titoli professionali; d)- le prestazioni sociali, l'assistenza sociale e la protezione sociale; e)- le agevolazioni fiscali; f)- l'accesso a beni e servizi a disposizione del pubblico (incluso l’alloggio); g)- la libertà d'associazione, adesione e partecipazione a organizzazioni di lavoratori o datori di lavoro o a qualunque organizzazione professionale di categoria (e vantaggi connessi); h)- il libero accesso a tutto il territorio dello Stato membro interessato. Nello specifico:

-          parità nel lavoro (condizioni di assunzione e lavoro, ivi comprese quelle di licenziamento e di retribuzione): rimane fermo il principio del diritto al medesimo trattamento consentito ai cittadini nazionali  (esercizio di un'attività lavorativa subordinata o autonoma, purché non implicante nemmeno in via occasionale la partecipazione all'esercizio di pubblici poteri), ma gli Stati membri (nuovo paragrafo 3, lettera a), potranno fissare limitazioni nei casi in cui la legislazione nazionale o la normativa comunitaria in vigore riservino dette attività ai cittadini dello Stato in questione, dell’UE o del SEE;

-          parità nell’istruzione: anche in questo caso, il principio paritario affermato nell’art. 11-1, lettera b), è temperato dal disposto del nuovo paragrafo 3, lettera b), in base al quale gli Stati  possono esigere una prova del possesso delle adeguate conoscenze linguistiche per l’accesso all’istruzione e alla formazione ed, inoltre, l’accesso all’Università può essere subordinata all’adempimento di specifiche condizioni riguardanti la formazione scolastica. Con riguardo a questo settore mette, d’altro canto, conto rilevare quanto precisato nel 14° e 15° considerando (14.- Gli Stati membri dovrebbero restare sottoposti all’obbligo di concedere ai figli minori l’accesso al sistema educativo a condizioni analoghe a quelle previste per i propri cittadini; 15.- La nozione di assegni scolastici e borse di studio nel campo della formazione professionale non comprende le misure finanziate nell’ambito dei regimi di assistenza sociale. L’accesso agli assegni scolastici e alle borse di studio può dipendere inoltre dal fatto che la persona la quale presenta domanda di detti assegni soddisfa alle condizioni per l’acquisizione dello status di soggiornante di lungo periodo. Per quanto riguarda la concessione delle borse di studio, gli Stati membri possono tener conto del fatto che i cittadini dell’Unione possono beneficiare di tali prestazioni nel paese d’origine);

-          parità nell’accesso alla protezione e assistenza sociale. In base al nuovo paragrafo 4, gli Stati membri possono limitare la parità di trattamento “alle prestazioni essenziali”. In base al 13° considerando, questo concetto è esplicitato nel modo seguente: “con riferimento all’assistenza sociale, la possibilità di limitare le prestazioni per soggiornanti di lungo periodo a quelle essenziali deve intendersi nel senso che queste ultime comprendono almeno un sostegno di reddito minimo, l’assistenza in caso di malattia, di gravidanza, l’assistenza parentale e l’assistenza a lungo termine. Le modalità di concessione di queste prestazioni dovrebbero essere determinate dalla legislazione nazionale”;

-          libertà di associazione. Il testo definitivo introduce la riserva di ordine pubblico e pubblica sicurezza;

-          accesso a tutto il territorio. Anche, qui, viene aggiunto “nei limiti che la legislazione nazionale prevede per ragioni di sicurezza”;

-          più in generale, gli Stati possono subordinare l’accesso ai benefici di cui al § 1, lettere b), d), e), f) e g) alla residenza effettiva, sul suo territorio, del titolare dello status, nonché dei familiari aventi diritto (nuovo paragrafo 2);

-          Tutela contro l’allontanamento (art. 12):

-          in base al testo definitivo, lo straniero, titolare dello status di “soggiornante di lungo periodo”, può essere allontanato quando costituisce una minaccia effettiva e sufficientemente grave per l’ordine pubblico o la pubblica sicurezza (omessa la parte “che leda uno degli interessi fondamentali della collettività”, presente nel testo della Commissione);

-          lo stesso vale per i principi di diritto comunitario riflessi negli originari paragrafi 2 e 3), nonché per il disposto del paragrafo 7, volto ad impedire l’espulsione, per direttissima, di dette persone;

-          nell’assunzione del loro provvedimento gli Stati membri dovranno, ad ogni modo, tenere conto di una serie di elementi (durata del soggiorno, età, conseguenze per l’interessato e i familiari, vincoli con il paese di soggiorno o assenza di vincoli col paese d’origine), fermo restando il diritto di presentare ricorso giurisdizionale (su questo punto vedi anche, nel testo del 16° considerando,  il rinvio alla giurisprudenza della Corte dei diritti dell’Uomo, circa l’effettività del ricorso stesso);

-          Disposizioni nazionali più favorevoli (art.13):

-          la direttiva non osta al rilascio di titoli sulla base di disposizioni più favorevoli;

-          tuttavia, gli anzidetti titoli non garantiscono, in questo caso, l’accesso ai benefici previsti dal capo III della direttiva (vale a dire, il diritto di mobilità in un altro Stato membro).

 

 

Capo III della direttiva: soggiorno negli altri Stati membri

 

Questo capo della direttiva attiene al diritto dei cittadini, riconosciuti “soggiornanti di lungo periodo”, di soggiornare negli altri Stati membri.

 

Nella relazione di accompagnamento della proposta COM 2001/127, la Commissione europea riteneva tale evenienza indispensabile premessa ad una “piena e completa integrazione”, anche perché, senza dimenticare il dettato dell’articolo 45 della Carta dei diritti fondamentali, “sarebbe inconcepibile uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia - obiettivo fondamentale dell'Unione - senza una certa mobilità dei cittadini stranieri che vi soggiornano regolarmente e soprattutto da molto tempo”.

 

Nell’ambito del trattato Schengen, tali cittadini possono circolare e soggiornare nel territorio degli Stati membri per un periodo massimo di tre mesi, ma ciò non costituisce un diritto di soggiorno per studio o lavoro (per lo meno, non nel senso attribuito dal  diritto comunitario ai cittadini dell’Unione).

 

Conseguentemente, specie per quanto riguarda il lavoro, dal punto di vista del (nuovo) Stato di accoglienza, la loro condizione giuridica è esattamente identica a quella dello straniero che, per la prima volta, si presenta sul mercato del lavoro di uno Stato dell’Unione.  

 

Come già abbiamo detto, per rimuovere questa situazione, tenuto ugualmente conto dell’importanza, anche numerica, degli stranieri nativi dell’Unione europea (i figli dei migranti nati sul territorio di uno Stato membro), la Commissione si proponeva di assicurare, ai cittadini riconosciuti titolari del suddetto status, una serie di diritti comparabili a quelli dei cittadini europei (migranti comunitari) in tema di mobilità transnazionale (tra Stati membri dell’Unione).

 

Ciò che il Consiglio ci restituisce (vedi, in particolare, gli articoli 14 e 15 della direttiva approvata) è un diritto fortemente amputato, dato il ricorso, anche in questo caso, ad ampi spazi di deroga dal dispositivo generale. In particolare:  

 

-          Principio (art. 14):

-          i “soggiornanti di lungo periodo” acquisiscono il diritto di soggiornare, per un periodo superiore a tre mesi, nel territorio di qualsiasi Stato membro diverso da quello che gli ha conferito lo status di soggiornante di lungo periodo, per: a) esercizio di un’attività economica in qualità di lavoratore autonomo o dipendente; b) frequentazione di corsi di studio o di formazione professionale; c) altri scopi. Ciò tuttavia (modifica apportata dal Consiglio):

-          per quanto riguarda le attività economiche di cui alla lettera a), gli Stati membri possono esaminare la situazione del loro mercato del lavoro e applicare le procedure nazionali relative rispettivamente alla copertura di un posto vacante o all’esercizio di dette attività;

-          per ragioni di politica del mercato del lavoro, gli Stati membri possono  dare la preferenza ai cittadini dell’Unione europea, ai cittadini di paesi terzi, quando previsto dalla legislazione comunitaria, nonché ai cittadini di paesi terzi che risiedono legalmente nello Stato membro interessato e vi ricevono sussidi di disoccupazione;

-          gli Stati membri possono, infine, limitare il numero totale di persone ammessi a rivendicare il diritto di soggiorno (l’ipotesi riguarda gli Stati che applicano un regime di quote per l’ingresso per lavoro dei cittadini di paesi terzi);

-          gli aspetti di sicurezza sociale sono, in questo caso, regolati secondo i criteri del regolamento n. 1408/71 (conformemente al regolamento n. 859/03);

-          Condizioni prescritte per il soggiorno (art. 15):

-          la domanda di permesso di soggiorno va presentata entro tre mesi dall’ingresso (al più tardi), corredata dei documenti utili a comprovare la situazione del soggetto, in rapporto alle fattispecie previste dall’articolo 14-1, lettere a), b) e c);

-          diversamente dalla proposta della Commissione, gli Stati possono esigere la prova di risorse stabili e regolari (e di copertura sanitaria) anche quando si tratti di mobilità per  attività di lavoro dipendente o autonomo;

-          vengono meno le tutele specialmente previste in determinati casi di interruzione dell’attività (es., incapacità temporanea per malattia e infortunio, disoccupazione involontaria, iscrizione a corsi di formazione);

-          Inoltre (nuovo paragrafo 3), gli Stati membri possono richiedere agli interessati di soddisfare le misure di integrazione eventualmente previste dalla legislazione nazionale, salvo che a ciò siano stati sottoposti nel corso delle procedure esperite davanti il primo Stato membro. In questo caso detti cittadini possono, però, essere invitati a seguire corsi di lingua;

-          Familiari (art. 16):

-          in quanto membri della famiglia nucleare (coniuge e figli minori) del soggiornante di lungo periodo che esercita il diritto di soggiorno nel secondo Stato membro, se la famiglia era già unita nel primo Stato membro, hanno il diritto di accompagnare, o raggiungere, la persona in questione;

-          se invece si tratta di familiari diversi (ascendenti, figli maggiorenni), la valutazione è lasciata allo Stato membro in questione, fermo restando che, conformemente al 20° considerando, “gli Stati membri dovrebbero prestare particolare attenzione alla situazione dei figli adulti con disabilità e ai parenti di primo grado in linea ascendente che dipendono da loro”;

-          la richiesta di un titolo di soggiorno, nel secondo Stato membro, è presentata entro tre mesi dall’ingresso (rinvio all’art. 15-1). In tale occasione il secondo Stato può verificare una serie di condizioni (prova della residenza, nel primo Stato membro in qualità di “familiari”; prova circa le risorse e la copertura sanitaria);

-          se la famiglia non era già unita nel primo Stato membro, si applicano direttamente le disposizioni di cui alla Direttiva n. 2003/86 (relativa ai ricongiungimenti familiari);

-          Ordine pubblico e pubblica sicurezza (art. 17):

-          gli Stati membri possono negare il soggiorno qualora l’interessato (o il suo familiare) costituisca una minaccia per l’ordine pubblico o la pubblica sicurezza. In questo caso si tiene conto della gravità e/o tipo di reato commesso, ovvero del pericolo costituito da detta persona;

-          le maggiori garanzie incluse nel testo della Commissione sono state ignorate. Tuttavia, dalla seconda frase del 21° considerando, si ricava il rinvio, questa volta esplicito, alla nozione di “minaccia attuale”;

-          Sanità pubblica (art. 18):

-          la domanda di soggiorno può essere respinta, in capo al richiedente (o al suo familiare) per motivi di sanità pubblica, nei limiti dei parametri OMS. Gli Stati possono, all’uopo, prescrivere visite mediche, ma non con carattere sistematico;

-          le persone ammesse al soggiorno sono al riparo da provvedimenti di non rinnovo e/o allontanamento per malattie sopraggiunte dopo il rilascio del primo titolo di soggiorno;

-          Esame della domanda e rilascio del titolo di soggiorno e garanzie procedurali (art. 19 e 20):

-          Gli Stati dispongono, in generale, di quattro mesi per pronunciarsi sulla richiesta di rilascio del titolo di soggiorno (tre, secondo la Commissione), termine eventualmente prorogabile per ulteriori tre mesi);

-          se ricorrono i presupposti, dette autorità rilasciano all’interessato un permesso di soggiorno conformemente alla legislazione di diritto interno, rinnovabile, alla scadenza, dietro domanda;

-          i familiari sono anch’essi muniti di un permesso di soggiorno di durata eguale a quella consentita all’interessato;  

-          le decisioni, anche di diniego, sono motivate e suscettibili di ricorso;

-          Trattamento nel secondo Stato membro (art. 21):

-          all’interessato, è riconosciuto “lo stesso trattamento nei settori e alle condizioni di cui all’articolo 11”. Ciò tuttavia, nel caso dei lavoratori subordinati, può essere limitato, per un anno, l’accesso in impieghi diversi da quelli per i quali è stato rilasciato il titolo di soggiorno;

-          circa gli studenti e le altre persone, gli Stati sono liberi di definire le condizioni di accesso ad una attività lavorativa, subordinata o autonoma;

-          con riguardo al rinvio all’articolo 11, mette conto sottolineare che, ai sensi del 22° considerando, “…la concessione di benefici nell’ambito dell’assistenza sociale non pregiudica la possibilità degli Stati membri di revocare il titolo di soggiorno se la persona interessata non soddisfa più i requisiti della presente direttiva);

-          ai familiari ai quali è stato rilasciato un permesso ai sensi del precedente articolo 19, sono riconosciuti i diritti previsti dall’articolo 14 della direttiva n. 2003/86, relativa al diritto di ricongiungimento familiare (in principio: istruzione, lavoro, orientamento e formazione professionale); 

-          Revoca del titolo di soggiorno e obbligo di riammissione (art. 22):  

-          in base all’articolo 25 del testo presentato dalla Commissione, il residente di lungo periodo che esercita il diritto di soggiorno (il quale non accede immediatamente a tale status nel secondo Stato membro) poteva essere allontanato o privato del titolo di soggiorno, per un periodo transitorio di cinque anni, per le seguenti ragioni tassative: a)- se rappresenta una minaccia per l'ordine pubblico e la sicurezza interna (nel senso inteso dalla direttiva 64/221/CEE del 25 febbraio 1964); b)- se cessa di soddisfare i requisiti per l'esercizio del diritto di soggiorno, perché non esercita più un'attività economica o non dispone più di un reddito sufficiente o di un'assicurazione contro le malattie e rischia di diventare un onere per il secondo Stato membro. In secondo luogo, il provvedimento di allontanamento non poteva avere durata illimitata, sicché il residente di lungo periodo poteva conservare il diritto di ritornare nel secondo Stato membro e di presentare una nuova domanda per l'esercizio del diritto di soggiorno;

-          nel testo adottato dal Consiglio, cade il riferimento al periodo transitorio, e le misure di diniego, non rinnovo o revoca del permesso, nonché di allontanamento, si fondano, per quanto riguarda l’ordine pubblico o la pubblica sicurezza, sull’articolo 17;

-          in caso di allontanamento, il primo Stato membro riammette immediatamente l’interessato (e per i suoi familiari);

-          tale evenienza non pregiudica la possibilità, per il soggiornante di lungo periodo (e per i suoi familiari), di spostarsi in un terzo Stato membro;

-          l’articolo definisce, inoltre, le disposizioni applicabili qualora il secondo Stato membro intenda assumere un provvedimento di allontanamento dal territorio dell’Unione europea (fermo restando, in questo caso, il rispetto delle garanzie previste all’articolo 12 della direttiva);

-          Acquisizione dello status di soggiornante di lungo periodo nel secondo Stato membro (art. 23):

-          questo status, nel secondo Stato membro, può essere acquisito dopo cinque anni di residenza legale, sussistendo le condizioni previste dagli articoli 3, 4, 5 e 6;

-          il dispositivo comporta l’applicazione analogica degli articoli 7, 8 e 10 per quanto riguarda gli aspetti procedurali e di garanzia.

 

 

3.- RELAZIONI CON ALTRE DISPOSIZIONI DI DIRITTO COMUNITARIO

 

Conformemente all’articolo 3, paragrafo 3, la direttiva 2003/109 non pregiudica le disposizioni più favorevoli di accordi comunitari o misti conclusi con Stati terzi e già entrati in vigore, che disciplinano la situazione giuridica dei cittadini dei paesi terzi interessati. Per esempio, la condizione giuridica dei cittadini destinatari dell’accordo SEE e dei cittadini svizzeri (accordo UE-Svizzera sulla libera circolazione delle persone) è disciplinata in virtù di tali accordi (e non in virtù della presente direttiva). Tale gruppo di accordi può riguardare anche altre aree (segnatamente: Algeria, Marocco, Tunisia, Turchia e paesi PECO) nella misura in cui questi accordi, contengono disposizioni in materia di diritti dei cittadini di paesi terzi, anche se non disciplinano direttamente la questione dell'accesso allo status di residente di lungo periodo. Pertanto, i diritti previsti da tali accordi non sono modificati dalla presente direttiva (se più favorevoli per i lavoratori e loro familiari conviventi).

 

Lo stesso vale per eventuali accordi bilaterali (Stati UE/Stati terzi) conclusi prima del 23.01.2004, nonché rispetto alle  disposizioni più favorevoli di tre strumenti internazionali creati nel quadro del Consiglio d'Europa, che si applicano ai lavoratori migranti che sono cittadini dei paesi membri del Consiglio d'Europa. Si tratta della Carta sociale europea (1961), della Carta sociale europea modificata (1987) e della Convenzione relativa allo statuto giuridico del lavoratore migrante (1977).

 

 

 

4.- QUESTIONI INTERPRETATIVE

 

Come (quasi) sempre succede nel caso di testi approvati con forza di direttiva, il testo si compone di alcune parti non derogabili, e di altre, sulle quali il legislatore conserva una certa discrezionalità. Di per sé, la citata direttiva n. 2003/109 non osta all’applicazione di criteri più favorevoli, fermo restando, in questo caso, la non validità del titolo medesimo ad esercitare il diritto di soggiorno sul territorio di altri Stati membri ai sensi dell’articolo 14.

 

In secondo luogo, nonostante sia ancora presto per soffermarsi in osservazioni critiche, sussistono, comunque, alcuni punti interrogativi.

 

In primo luogo, atteso che lo status di soggiornante di lungo periodo è, in base alla direttiva 2003/109, un titolo “personale”, è lecito chiedersi se un familiare possa autonomamente assurgere ad uguale titolo non sulla base di risorse e proprie, ma in base alle risorse del titolare dello status medesimo (coniuge o genitore che sia).

 

In secondo luogo, specie con riguardo ai figli, vi sarebbe la chiarire la portata del rinvio (a norma del suo articolo 2, lettera e), alla direttiva n. 2003/86, specie nel caso in cui questi raggiungono l’età adulta (18 anni, nella maggior parte dei casi) e diventano titolari di un permesso di soggiorno autonomo (art. 15, § 1, della citata direttiva 2003/86). 

 

In terzo luogo, la direttiva n. 2003/109 non contiene disposizioni specifiche in caso di decesso del titolare dello status di soggiornante di lungo periodo, sicché, pur potendosi, anche in questo caso, fare riferimento alla direttiva n. 2003/86 (articolo 15, § 3) non è del tutto chiaro se, ed in quale misura, i familiari superstiti possono continuare ad usufruire dei diritti previsti dall’articolo 11 della direttiva 2003/109 (in subordine, a quali condizioni potrebbero, essi stessi, pretendere allo status di soggiornante di lungo periodo).   

 

Con riferimento al dispositivo titolo III (esercizio del diritto di soggiorno in un secondo Stato membro da parte del titolare dello status di soggiornante di lungo periodo), vi sarebbe da considerare se i suddetti familiari possono conservare la residenza nel primo Stato membro (e con quali diritti). 

 

 

5.-  TRASPOSIZIONE NELL’ORDINAMENTO ITALIANO

 

Come precisato all’inizio, gli Stati membri hanno l’obbligo di recepire la direttiva, al più tardi, entro il 23 gennaio 2006.

 

Le disposizioni del capo II comportano, di conseguenza, una rivisitazione delle norme sulla “Carta di soggiorno”, titolo che, per le sue caratteristiche, marca la differenza tra residente “temporaneo” e residente “permanente” (mentre quelle di cui al capo III costituiscono una novità, in assoluto, per tutti gli Stati membri dell’Unione).  

 

Come prime osservazioni sul punto, evidenziamo subito una serie di aspetti relativi ai paragrafi 1, 3 e 5 dell’articolo 9 del Tu n. 286/98 (come modificato dalla legge Bossi-Fini), che la direttiva 2003/109/CE è suscettibile di far modificare (in meglio):

 

 

1. Lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato da almeno sei anni, titolare di un permesso di soggiorno per un motivo che consente un numero indeterminato di rinnovi, il quale dimostri di avere un reddito sufficiente per il sostentamento proprio e dei familiari, può richiedere al questore il rilascio della carta di soggiorno per sé, per il coniuge e per i figli minori conviventi. La carta di soggiorno è a tempo indeterminato.

 

Il periodo richiesto dall’articolo 4 della direttiva è di cinque anni (da verificare, per gli studenti, le specifiche modalità di computo del periodo)

 

 

Da adeguare in rapporto alla prescrizione dell’articolo  9 della direttiva (a cui rinvia l’articolo 8)

 

3. La carta di soggiorno e' rilasciata sempre che nei confronti dello straniero non sia stato disposto il giudizio per taluno dei delitti di cui all'articolo 380 nonché, limitatamente ai delitti non colposi, all'articolo 381 del codice di procedura penale o pronunciata sentenza di condanna, anche non definitiva, salvo che abbia ottenuto la riabilitazione. Successivamente al rilascio della carta di soggiorno il questore dispone la revoca, se e' stata emessa sentenza di condanna, anche non definitiva, per reati di cui al presente comma. Qualora non debba essere disposta l'espulsione e ricorrano i requisiti previsti dalla legge, e' rilasciato permesso di soggiorno. Contro il rifiuto del rilascio della carta di soggiorno e contro la revoca della stessa e' ammesso ricorso al tribunale amministrativo regionale competente.

 

Vanno tenuti presenti i criteri fissati dall’art. 6-1 della direttiva (gli Stati membri tengono conto della gravità o del tipo di reato contro l’ordine pubblico o la sicurezza pubblica o del pericolo rappresentato dalla persona in questione, prendendo altresì nella dovuta considerazione la durata del soggiorno e l’esistenza di legami con il paese di soggiorno).

 

Come sopra, in relazione al disposto dell’articolo 9-3 della direttiva

 

 

 

5. Nei confronti del titolare della carta di soggiorno l'espulsione amministrativa può essere disposta solo per gravi motivi di ordine pubblico o sicurezza nazionale, ovvero quando lo stesso appartiene ad una delle categorie indicate dall'articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, come sostituito dall'articolo 2 della legge 3 agosto 1988, n. 327, ovvero dall'articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, come sostituito dall'articolo 13 della legge 13 settembre 1982, n. 646, sempre che sia applicata, anche in via cautelare, una delle misure di cui all'articolo 14 della legge 19 marzo 1990, n. 55.

 

Secondo l’art. 12 della direttiva, occorre che si tratti di una minaccia effettiva e sufficientemente grave per l'ordine pubblico o la pubblica sicurezza. Inoltre, prima di emanare il provvedimento, si deve considerare:
a) la durata del soggiorno nel territorio;
b) l'età dell'interessato;
c) le conseguenze per l’interessato e per i suoi familiari;
d) i vincoli con il paese di soggiorno o l'assenza di vincoli con il paese d'origine.

 

 

 

6.- OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

 

Oltre quanto già si è rilevato, la vicenda di questa direttiva chiama in campo  un giudizio anche sulle regole relative al processo decisionale. Infatti, nella misura in cui questa materia sfugge alla procedura di co-decisione col Parlamento europeo, il Consiglio, conserva ampia libertà di manovra. Pertanto, anche a fronte di un testo ampiamente emendato, il Parlamento europeo non è oggetto di nuova consultazione.

 

L’assunzione, nel testo di direttiva n. 2003/86, relativa al diritto di ricongiunto familiare, di misure manifestamente contrarie al diritto di unità familiare ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’Uomo, ha condotto lo stesso parlamento ad attivare, il 16 dicembre 2003, la procedura di ricorso, contro il Consiglio, davanti la Corte di Giustizia (ne diamo notizia con circolare a parte).

 

Nel caso presente, la situazione non è esattamente la stessa. I diritti fondamentali sono  “compressi”, ma non direttamente negati, e lo stesso testo prevede, d’altra parte, la possibilità di una revisione a termine del dispositivo (al più tardi entro un periodo di 7 anni dalla data di entrata in vigore). In ogni caso, non si registrano, al momento, reazioni nel merito del testo di direttiva

 

In queste condizioni, è opportuno lavorare affinché, nella fase di trasposizione del testo nell’ordinamento giuridico italiano, il dispositivo sia valorizzato nei suoi punti più avanzati (in altri termini, cercando di contenere al massimo l’ambito delle deroghe).

 

Fraterni saluti.

 

 

 

p. il Collegio di Presidenza                                                                   p. il settore

     Salvatore Casabona                                                                        Gina Turatto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Allegati:

-          testo di direttiva n. 2003/109 (formato PDF)

-          tabella dei testi a confronto (Commissione e Consiglio)

 



[1] Attenzione: nelle versioni linguistiche francese e inglese, il termine impiegato “residenti” (e non “soggiornanti”)